Acquistano squadre, godono di agevolazioni fiscali e spariscono. I cinesi stanno rifilando troppe fregature al calcio italiano, meglio gli americani.
Via i cinesi dal calcio italiano e in generale dalla nostra economia. Se da altre parti, in altri Paesi, vogliono continuare a farci affari, peggio per loro. Perché, diciamocela tutta, concentrandoci sul calcio che è il tema che ci interessa: i cinesi sono dei ‘sola’, per dirla in romanesco. Gente con poca anima e con in testa soltanto il loro profitto.
Solo che troppe volte, se non sempre, questo eventuale profitto è fine a se stesso. Non produce ricadute sul territorio, è legato agli umori torvi e imprevedibili della Governo cinese e, di punto in bianco sparisce insieme ai cinesi stessi, con identica velocità con cui erano comparsi.
La mano cinese sulla Serie A
Il volano per questa riflessione lo fornisce l’ultima vicenda dell’Inter. Sembrava una cosa seria, destinata a durare, con un progetto importante e invece Mr Zhang sta pensando di vendere a quelli di Bc Parterns. Tutto? La metà? Un po’ più della metà? Staremo a vedere. Intanto il processo si è già messo in moto alla velocità della luce a partire dagli ultimi mesi del 2020.
I cinesi sono dei fantasmi che arrivano, godono di inspiegabili e misteriose agevolazioni fiscali e poi spariscono. Cosi, per il Gruppo Suning che aveva rilevato l’Inter nell’estate del 2016. Così per le altre proprietà cinesi che hanno messo il naso e gli affari nel nostro calcio a tutti i livelli.
Cinesi anche a Parma, spariti in fretta a furia e adesso avanti con una proprietà americana (Krause Group). Gli investitori a stelle e strisce sono decisamente più affidabili, meno torvi e, ovviamente, più vicini ai nostri valori e alle nostre tradizioni.
Vogliamo parlare dei cinesi del Milan e di mister Yonghong Li, padrone dei rossoneri dall’aprile 2017 al luglio 2018? Meglio metterci una pietra sopra. Non era cinese ma indonesiano: vi ricordate quel pacioccone di Mr. Thoir, arrivato a mettere le mani sul pianeta Inter, stagione post Moratti nel 2013 e sparito tre anni dopo? Un mezzo filibustiere, che in tre stagioni aveva investito soltanto 30 milioni di euro in cartellini di giocatori, salvo però finanziare con tassi da strozzo (8%) il club e poi sparire.
L’onda cinese non si accontenta del massimo campionato
Le sole dei cinesi non si fermano ovviamente al calcio di serie A ma, dove arrivano, fanno danni dappertutto. Anche in Lega Pro, per esempio al Pavia calcio, fallito nell’ottobre del 2016 con la proprietà rappresentata dal signor Xiadong Zhu dopo soltanto due anni. Un mare di promesse, supercazzole e tanti buchi lasciati sul territorio sulla pelle della povera gente.
Inutile girarci intorno: questi sono i cinesi, con i dovuti distinguo ovviamente. Saremmo stupidi nel non capire che il profilo di Mr. Zhang con l’Inter è sicuramente più rispettabile di quello del suo connazionale passato dal Milan. Ma alla fine, i cinesi ti lasciano sempre con il cerino in mano.
Lo stesso fanno con le attività, commerciali ed è vergognoso che, per un accordo governativo, questi signori non paghino tributi per due anni e poi continuino a farlo cambiando ragione sociale e nominativo alla loro società. Per fortuna il calcio italiano, che non può più permettersi le figure dei presidenti mecenati come erano stati i Moratti e i Berlusconi, adesso comincia a diventare terra di investimento degli americani e non solo di fregature cinesi. Le proprietà a stelle e strisce danno maggiori garanzie di trasparenza e di serietà.
Proprietà americane in Italia
Nel nostro calcio sono cinque le proprietà Usa: i Friedkin a Roma sono arrivati dopo il connazionale Pallotta; il Parma è americano, così come il Milan con il fondo Elliott di mister Paul Singer, la Fiorentina con Rocco Commisso e il Catania che sta per essere acquistato da Mr. Tacopina, uscito dal Venezia.
In Premier League, club come Manchester United (famiglia Glazer) e Liverpool (Fenway Sports Group di Boston) sono a stelle e strisce. Basta e avanza per sentirsi garantiti e per consigliare al Palazzo del Calcio italiano di stare alla larga dalle sole cinesi.
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